Il rapporto tra violenza e adolescenti è un problema sociale che vede gli adolescenti sia autori che vittime di reati, un fenomeno che diventa preoccupante se, sotto l’effetto moltiplicatore dei social e del percetto della paura, viene affrontato con azioni parzialmente adeguate, come ad esempio con interventi solo punitivi.
In particolare, sottolineerò quali prassi pedagogiche sono necessarie per evitare che i diversi livelli del disagio adolescenziale si trasformino in comportamenti di violenza e di devianza, diventando così braccio operativo per attività criminose.
Sappiamo dell’origine multifattoriale della violenza in adolescenza a cui concorrono fattori genetici ereditari, neurologici, ambientali, socioculturali e psicopatologici.
Il termine disagio viene generalmente considerato come sinonimo di disadattamento e devianza. Ma si tratta di tre concetti corrispondenti a fasi diverse del vissuto adolescenziale, fasi distinte ma non separate, poste in progressione come tre tappe di un possibile viaggio di forte sofferenza adolescenziale.
Innanzitutto, vi è il disagio evolutivo endogeno, esplorato soprattutto dalla pedagogia e dalla psico- logia, sta a indicare uno stato di sofferenza psichica intrinseca, legato agli effetti della trasformazione puberale fisica, cognitiva, simbolica e relazionale. Non è uno stato ma un processo dinamico il cui disagio si sente ma non necessariamente si vede.
È difficile per un adolescente non vivere queste trasformazioni come una sorta di violenza, se non altro per il fatto che non sceglie queste trasformazioni, ma le subisce proprio quando, nell’infanzia, ha sperimentato il piacere di controllare le sue capacità di apprendimento e di funzionamento.
Questa evoluzione presenta nell’adolescente un intenso vissuto di impotenza. “Non sono quello che dovrei essere e neanche quello che ho intenzione di essere, però non sono più quello che ero prima”. Questo aforisma di Erikson descrive molto bene la situazione dell’adolescente come egli si percepisce e si rappresenta. Sentirsi riconosciuto nei cambiamenti, nella sua autonomia, nella ricerca di una sua identità personale e sociale, costituisce il nucleo dinamico e il compito più significativo di questa età.
Vi è poi il disagio esogeno o disadattamento, studiato in particolare dalla sociologia che consiste in una relazione disturbata con l’ambiente familiare, scolastico, sociale, ecc. disagio che non crea la violenza ma compromette i processi sociali che la tengono sotto controllo.
In questi processi il gruppo dei pari ha una forte incidenza sullo sviluppo della personalità dell’adolescente te in quanto mezzo di identificazione irrinunciabile e spazio di mediazione tra mondo infantile e mondo adulto.
Tuttavia, quando al disagio evolutivo endogeno si unisce anche il disagio esogeno, il gruppo perde questa funzione propulsiva per diventare aggregazione patologica. Infatti, il gruppo, lasciato a sé stesso, rischia di diventare “branco” nel senso che tende ad assumere connotazioni primordiali di aggressività e di dipendenza da leadership trasgressive.
E siamo al terzo tipo di disagio: il disagio cronicizzante o devianza.
Contrasto al disagio giovanile. Necessità operative
Prima però intendo porre all’attenzione due necessità operative, due grandi autostrade affinché dal disagio evolutivo e dal disadattamento relazionale e ambientale, non si passi alla devianza.
Costruire un efficace sistema formativo integrato, una grande alleanza, istituzionale e culturale, che metta al centro la persona del minore nel suo rapporto con le realtà intenzionalmente educative che con lui interagiscono: la famiglia, luogo degli affetti; la scuola, territorio dei saperi, l’extra-scuola, terreno delle esperienze e della ludicità; l’ente locale deputato alla progettualità del territorio.
Occorre costruire un quadrilatero tra questi attori istituzionali che, nell’essere valorizzati quali contenitori educativi, ciascuno con una propria missione e visione, accettino allo stesso tempo la sfida di un’armonizzazione metodologica nell’approccio ai diversi stili di vita degli adolescenti, singoli e gruppi.
Si tratta di realizzare una struttura formativa integrata che sviluppi una logica di sistema e di interconnessioni e, come Caritas, puntiamo a sviluppare questo servizio con quattro occasioni di sperimentazione: il progetto Young Caritas, Chill Out, CALIS e PEPE. Per ciascuno avremo un approfondimento di progettualità, presenza sul territorio, aggregazione responsabile, formazione umana e lavorativa e prevenzione delle condotte emarginanti.