Oggi ben pochi si dichiarano a favore della guerra, quasi nessuno si proclama amante della guerra, ma tutti sembrano desiderare ciò che solo con la guerra possono ottenere.
Quando a Bismarck chiesero se, allora, voleva la guerra, rispose: “Ovviamente no, voglio la vittoria!“. Molti capi politici vogliono lo stabilirsi di una pace gravata da vergognose ingiustizie, preferendo entrare nelle nazioni altrui a poco a poco, senza incontrare resistenza. Da questa paradossale confusione dei valori, dalla loro deformazione e commercializzazione prende avvio l’appassionato libro di Giuseppe Golsis che ha per titolo Eirene. Lo spirito europeo e le sorgenti della pace (Gabrielli Editori, via Cengia 67, San Pietro in Cariano (VR), pag. 380).
Il filone “barbaro” della modernità nata con il Leviatano di Hobbes, sottolinea continuamente l’onnipotenza della guerra e, più in generale, della violenza. “Con le baionette si può fare di tutto, tranne che sedercisi sopra“, dice il moralista cinico. Il bel libro di Goisis prova a sfatare il mito del primato della guerra e della violenza, mostrandone le connessioni con quell’Occidente che, dall’Iliade alla Guerra del Golfo, da Achille a Bush, ha affermato, con ossessiva coerenza, la decisività della forza e, alla bilancia della forza, la decisività della propria potenza.
A parere di Goisis, dall’Occidente si distingue il miglior spirito europeo, giudicato ancora capace di percepire le grandi sfide storiche. Non l’Europa soffocata dal costume mercantile, nella quale solo le scogliere di Dover sembrano non ancora in vendita, ma l’Europa dell’umanesimo dell’altro uomo e della convergenza nella diversità: la patria delle differenze. Di questo miglior spirito europeo si invoca la ripresa, proprio nell’ora notturna nella quale si manifesta il rischio di una grande “balcanizzazione”, perfino di una “balcanizzazione” della stessa cultura e dell’ideale di razionalità che ha pervaso l’Europa. Ecco “la politica senza luogo”, quella “dopo il Leviatano” dove gli Stati hanno ceduto la loro sovranità economica, finanziaria e militare a entità transnazionali che nessuno ha eletto e le cui finalità sono in gran parte sconosciute, o addirittura a poteri trasversali come le organizzazioni criminali internazionali che, lungi dall’essere manifestazioni di mere “barbarie”, sono perfettamente integrate nel sistema del potere mondiale in vaste aree del pianeta. Negli interstizi di questa “politica senza luogo” tra i confini degli Stati flottano milioni di individui che-con la loro stessa esistenza contestano l’idea di cittadinanza elaborata dagli Stati occidentali negli ultimi tre secoli.
La “turbolenza delle migrazioni” non sta nella minaccia che i migranti costituirebbero per l’assetto democratico e culturale delle società di immigrazione, ma, come scrive Dal Lago, “nella pretesa concreta esercitata da milioni di persone di sfuggire al destino assegnato loro nella divisione economica del lavoro mondiale“. Per cui è possibile dire che l’emigrazione rappresenta una contestazione nei fatti dell’articolazione dei poteri degli Stati-nazione sul territorio globale. Apriamoci a una partecipazione attiva e consolidiamo le basi della convivenza cercando di vivere una sequela dei nostri rappresentanti con una visione più aperta e concentrata al bene comune. e2394b
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