Dall’Omelia per il Patrono a san Siro di Mons. Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia
Gli ambiti di questa «alleanza sociale per la speranza» sono indicati dal Papa nel documento dedicato all’imminente Giubileo (cfr. Spes non confundit, 7-15), nel paragrafo intitolato «Segni di speranza». In realtà, Francesco evoca situazioni che in se stesse sembrano contraddire la speranza e offrire motivi d’incertezza per il futuro prossimo: eppure, proprio di fronte a queste emergenze, siamo chiamati a porre segni di speranza, a fare crescere e a sostenere, con scelte e atteggiamenti di persone e di comunità, ciò che contrasta il male e l’indifferenza.
Mi permetto d’indicare il volto multiforme di questa «alleanza sociale per la speranza» che siamo chiamati a coltivare, ognuno, secondo le sue capacità e responsabilità, per far crescere segni di speranza nell’orizzonte del Giubileo.
Un’alleanza per la pace: non possiamo rassegnarci alla logica della guerra come opzione possibile nei rapporti tra i popoli, non possiamo cedere a una sorta di abitudine ai troppi conflitti che mietono vittime innocenti, soprattutto tra i civili. Come ha più volte ricordato Papa Francesco: «La ricerca della pace è una responsabilità non di pochi, ma di tutti. Se prevalgono l’assuefazione e l’indifferenza agli orrori della guerra, tutta, tutta la famiglia umana è sconfitta» (Angelus, 1° dicembre).
Siamo chiamati a prestare ascolto al grido dei popoli e a fare sentire la nostra voce sulla scena pubblica, negli ambienti in cui viviamo, a promuovere gesti di pace nelle relazioni quotidiane e nell’affronto delle tensioni sociali, mai giustificando il ricorso a forme violente di protesta.
La pace inizia dai rapporti quotidiani, dal modo d’essere cittadini, dal rispetto della giustizia in ogni campo: tutti possiamo essere “artigiani di pace”, nel modo retto e ordinato di vivere responsabilità amministrative, politiche, nel lavoro, anche promuovendo iniziative di sensibilizzazione e di riflessione, che tengano desta l’attenzione delle persone alla sfida della pace.
Ci sono poi esperienze di volontariato all’estero in luoghi segnati dalla violenza e dai conflitti, di sostegno a opere di pace e di carità, animate da missionari, religiosi e laici, da operatori di Ong o da altri soggetti, ci sono progetti di cooperazione internazionale promossi da associazioni, dall’università, dal comune, gemellato con quello di Betlemme. Far conoscere queste esperienze, che coinvolgono adulti e giovani, è un modo per servire la pace e lo sviluppo dei popoli: «Il Giubileo ricordi che quanti si fanno “operatori di pace saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti» (Spes non confundit, 8).
Un’alleanza per la vita: nel nostro paese e anche nel nostro territorio c’è una crisi demografica, che avrà conseguenze non solo sul piano della sostenibilità sociale e della crescita economica, ma rischia di rendere umanamente più povera la comunità civile ed ecclesiale. Ci sono scelte che competono a chi governa la nazione, ma a livello locale e a livello di cultura, di sguardo sulla vita, si possono fare dei passi e promuovere iniziative che contrastino «la perdita del desiderio di trasmettere la vita», che sostengano, con opportune scelte amministrative, le famiglie, che promuovano la maternità, e favoriscano «il desiderio dei giovani di generare nuovi figli e nuove figlie» (Spes non confundit, 9).
Tutti dovremmo sentirci coinvolti nel servizio alla vita nascente e alle famiglie e dovremmo gioire ogni volta che nasce un bambino: dovrebbe essere interesse di tutti offrire un’alternativa alla scelta dell’aborto, che resta un dramma, perché lascia ferite profonde nell’anima della donna e sopprime vite umane innocenti. Nella stessa legge 194 ci sono indicazioni perché sia sostenuta e favorita la maternità quando è in condizione di difficoltà: perciò il fatto che esistano associazioni a fianco delle donne che vivono gravidanze indesiderate o in condizioni di solitudine e di necessità, per aiutarle e permettere la nascita dei loro bambini, dovrebbe essere riconosciuto non come una “violenza” fatta alla libera scelta delle donne, ma come una condivisione che si mette a servizio della donna e della vita che porta in grembo.
Ringrazio in particolare il Centro alla Vita attivo nella nostra città di Pavia dove non poche donne hanno trovato uno spazio di ascolto, non giudicante, e l’offerta di un accompagnamento che spesso le ha portate alla decisione di accogliere la vita.
Usciamo da contrapposizioni ideologiche, stringiamo un’alleanza per la vita e per la famiglia: non c’è segno di speranza più grande della nascita di un bimbo e da questo punto di vista, la voglia di vita che anima popoli in difficili condizioni di povertà e d’ingiustizia, sono i bambini e le bambine che riempiono strade e villaggi, che percorrono lunghi sentieri per andare a scuola, che nei loro occhi pieni di meraviglia gridano la sete di vita e di speranza che li abita!
In questo campo, ci sentiamo sollecitati, come comunità cristiana, testimone del Vangelo della vita: «La comunità cristiana perciò non può essere seconda a nessuno nel sostenere la necessità di un’alleanza sociale per la speranza, che sia inclusiva e non ideologica, e lavori per un avvenire segnato dal sorriso di tanti bambini e bambine che vengano a riempire le ormai troppe culle vuote in molte parti del mondo» (Spes non confundit, 9).
Un’alleanza per i detenuti: un segno tipico del Giubileo era la liberazione dei prigionieri. Per questo il Papa chiede ai Governi che «si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi». Nel nostro territorio è da favorire ciò fa crescere l’apertura della società e della città al carcere e l’apertura del carcere alla città: è importante che i nostri fratelli detenuti non si sentano isolati e che anche chi opera nel carcere – dirigenti, agenti di polizia penitenziaria, educatori, volontari – avverta la vicinanza della comunità civile e cristiana. Così come sono da sostenere iniziative per migliorare le condizioni di vita dei carcerati che nel tempo della detenzione, mentre espiano una pena, dovrebbero fare percorsi di riabilitazione per un futuro reinserimento nella società: a vantaggio loro e di tutti.
Un segno bello è la collaborazione della pastorale carceraria con la Direzione della Casa Circondariale di Torre del Gallo, con il coinvolgimento di adulti e di giovani che animano laboratori artistici, letterari e filosofici: colgo l’occasione per dire un grazie ai membri della cappellania e a coloro che realizzano iniziative nel carcere e offrono percorsi di lavoro e di reinserimento. Segnalo una duplice urgenza che spesso vive chi esce dal carcere: quella della casa, per chi non ha nessuno e non sa dove andare, e quella del lavoro.
Lasciamoci tutti interpellare da questa urgenza, a cui non riusciamo a fare fronte come Chiesa, con le limitate disponibilità di posti dove accogliere, anche temporaneamente questi fratelli. Anche in questo caso la speranza si sostiene facendo alleanza tra più soggetti: Comune e Aler, Caritas, comunità parrocchiali e altre realtà ecclesiali, datori di lavoro e proprietari di appartamenti sfitti e vuoti nel nostro territorio, associazioni di volontariato nel sociale. Solo insieme, possiamo realizzare un’alleanza a favore dei fratelli detenuti e del loro futuro come cittadini liberi e onesti.
Un’alleanza per i malati, nelle case e negli ospedali, che chiedono scelte a sostegno della sanità pubblica, e per gli anziani con gesti concreti contro la solitudine e l’isolamento. Un’iniziativa come quella promossa dalla comunità S. Egidio “Viva gli anziani” è un invito a farci amici dei nostri anziani, spesso soli nelle loro case, così come il servizio della cooperativa “Vasi di creta” nello spazio di un condominio solidale del Comune suggerisce forme di accompagnamento che riducano il ricorso alle residenze sociosanitarie e favoriscano la permanenza delle persone nelle loro case o in ambienti più familiari, con adeguate figure di sostegno, come la badante di condominio.
Un’alleanza per le giovani generazioni che chiedono la piena valorizzazione della loro soggettività, nella Chiesa e nella società. Mi ha molto colpito la recente mostra “L’epoca fragile?” realizzata negli spazi del Museo Diocesano e promossa da “Convivio”, espressione della pastorale universitaria: una raccolta di testi, di dipinti, di sculture sul tema della fragilità, realizzati da giovani universitari che hanno potuto dire di sé, esprimere disagi e domande, timori e paure, speranze e attese. Che profondità nelle loro parole, e allo stesso tempo quanta sofferenza, che in alcune espressioni sembrava un grido e una ricerca di relazione, con gli altri e con l’Altro, con il mistero ineffabile che sta al fondo della vita e della realtà.
È importante moltiplicare esperienze in cui giovani siano protagonisti e possano condividere ciò che hanno nel cuore, avendo accanto adulti autorevoli, che sappiano accompagnarli: «Il Giubileo sia nella Chiesa occasione di slancio nei loro confronti: con una rinnovata passione prendiamoci cura dei ragazzi, degli studenti, dei fidanzati, delle giovani generazioni! Vicinanza ai giovani, gioia e speranza della Chiesa e del mondo!» (Spes non confundit, 12).
Un’alleanza per i migranti: essi vivono anche nel nostro territorio e chiedono, da parte nostra, uno sguardo che li consideri non numeri, ma persone, volti, con le loro storie e le loro ferite. Da parte loro sono chiamati a entrare in sintonia con la cultura e la tradizione della nostra nazione, delle città e paesi dove abitano: non si tratta di omologarsi a noi o di rinunciare alla loro identità religiosa e culturale, ma di entrare in piena relazione con il nuovo ambiente di vita in cui lavorano, studiano e in cui crescono i loro figli, imparando la lingua italiana, per non restare isolati, evitando di chiudersi tra loro, amando e stimando la cultura differente con cui entrano in contatto.
Le scuole, le società sportive, gli oratori, l’università e i collegi universitari possono svolgere un ruolo positivo per realizzare una vera integrazione che permetta a tutti di scoprire il dono dell’incontro e della convivenza tra persone ed etnie differenti.
Un’alleanza che metta al centro i poveri: l’attenzione ai poveri, con la remissione dei debiti, era un altro tratto del Giubileo biblico. Il livello umano di una società e di una città si misura dal posto che hanno i poveri e dall’impegno concorde a ridurre le cause d’impoverimento e a non lasciare nessuno ai margini. Qui entrano in campo scelte politiche ed economiche, ma anche il vissuto quotidiano delle persone per combattere il rischio dell’assuefazione, come se fosse e inevitabile che continuino a esserci tra noi famiglie e persone, «che non hanno un’abitazione, né il cibo adeguato per la giornata, che soffrono l’esclusione e l’indifferenza di tanti» (Spes non confundit, 15).
La collaborazione tra servizi sociali del comune, associazioni di volontariato, comunità parrocchiali, Caritas diocesana, è la via da percorrere, insieme all’educazione alla gratuità e alla condivisione nelle scuole, negli oratori, nell’università e nei luoghi di formazione.
Evidenzio, come un segno bello, l’iniziativa “Nessuno si salva da solo”, nata nell’anno del Covid e cresciuta in questi anni, nella quale persone di diverso orientamento ideale, credenti e non credenti, si mettono insieme per costituire un fondo di solidarietà che ha già aiutato tante famiglie in povertà o in difficoltà per spese impreviste. È un modo semplice ed efficace per far crescere nella nostra comunità civile e cristiana l’attenzione al mondo multiforme della povertà e alle persone che concretamente la vivono e la soffrono.
Ecco, fratelli e sorelle, ho voluto proporre a tutti voi, che qui rappresentate la città e la Chiesa di Pavia, i tratti essenziali di quella «alleanza sociale per la speranza» che il Papa indica come un modo di vivere il tempo dell’Anno Santo, come un’esperienza che può coinvolgere credenti e non credenti, tutti coloro che non smettono di sperare e non si ripiegano in un triste cinismo che inaridisce il cuore.